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venerdì 16 maggio 2014

Polaroid, la rinascita di un brand

Dal paradiso all’inferno, e ritorno. Dietro alla risurrezione del marchio dell’istantenea c’è un nuovo modello di business. Che si basa sugli accordi di licenza siglati con tutte quelle società che continuano ad amare le tecnologie e i valori Polaroid

C’è stato un tempo in cui la fotografia era qualcosa di tremendamente complicato. Era l’epoca dell’analogico e delle macchine fotografiche col rullino. Per avere il reportage della tua festa di laurea, per dire, dovevi aspettare dai 5 ai 7 giorni, giusto il tempo di portare il rullino dal fotografo e farlo sviluppare. Oppure potevi comprarti una Polaroid.

Sì perché già prima di Instagram, dei filtri anticati e dei social network c’era già chi aveva capito che l’umanità aveva bisogno di un’alternativa più snella alla classica fotocamera. Qualcosa di pratico, originale - nel formato e nel risultato, e facile da condividere. Ecco, per chi come me è nato prima degli anni Ottanta, la Polaroid è stata soprattutto questo: una macchina fotografica diversa dalle altre, ma soprattutto un modo diverso di intendere la fotografia. Più smart, immediato e - ora lo possiamo dire - più social.

Sarà per questo, o sarà per il fatto che siamo una generazione di eterni nostalgici, che quando sul finire dello scorso decennio abbiamo letto che Polaroid stava fallendo ci siamo rimasti male. Perché ok il progresso e tutto quanto ma ci sono marchi che andrebbero tutelati a prescindere dalle questioni commerciali. O, magari, andrebbero semplicemente dichiarati patrimonio dell’umanità. Punto e basta.

è forse pensando a questi “valori” che Scott Hardy ha preso in mano la società nel 2009 - dopo due accuse di bancarotta e sei cambi al vertice - diventandone l’uomo della provvidenza. Non si potrebbe definire altrimenti uno che in cinque è stato capace di resuscitare un’azienda che tutti davano ormai per spacciata. Un miracolo, o quasi, compiuto però senza trucchi o riti paranormali. Hardy ha semplicemente compreso che per rimettere Polaroid nelle condizioni di guardare al futuro anziché al passato, bisognava lavorare sull’unico asset rimasto in piedi dopo il terremoto del digitale: il brand e la sua storia.
Anziché pensare a come crearsi in casa la fotocamera capace di ridare lustro alla società, il CEO senza macchia e senza paura ha così cominciato a parlare con tutte quella realtà del nuovo mondo digitale che potevano essere interessate a sposare le tecnologie ma soprattutto i valori di Polaroid: produttori di televisori e di dispositivi mobili, sviluppatori di applicazioni e ovviamente realtà della fotografia. Hardy ha capito subito che il suo marchio era tutt'altro che morto. Bastava semplicemente firmare i giusti accordi di licenza per lo sfruttamento del marchio Polaroid.

Sfruttamento, già, ma di cosa? Non tutti sanno, ad esempio, che Polaroid non è solo la società che inventato le istantanee, ma anche la tecnologia di polarizzazione. E che ogni televisore LCD di ultima generazione incorpora al suo interno un polarizzatore, un componente chiave senza il quale non potremmo guardare un’immagine riflessa su uno schermo piatto.

Dalla Tv al tablet il passo è breve. Ci sono aziende che hanno acquistato la licenza del brand Polaroid per costruire tavolette capaci di trasmettere un po’ di quello spirito che ha fatto di Polaroid un’icona del secolo scorso. è il caso di Market Maker Brand Licensing, una società francese che dallo scorso anno ha messo in vendita una famiglia di tablet low-cost griffati Polaroid che, a quanto pare , sta riscuotendo un certo successo.

E poi, naturalmente, ci sono i produttori di fotocamere. Quelli che ancora non si rassegnano a non poter dare al mercato un’erede in chiave moderna delle gloriose ColorPack. Come C&A Marketing , la società che - sempre grazie ad un accordo di licenza - ha lanciato la Pic-300 e la Z2300, due macchine digitali che stampano in tempo reale proprio come facevano le Polaroid dei bei tempi. Perché condividere su Facebook e Instagram è una bella cosa, ma la foto da sventolare davanti agli amici è tutta un’altra storia.

Panorama.it

 

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