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mercoledì 24 luglio 2013

Sigarette elettroniche, crollo dopo il boom

"Colpa delle lobby del tabacco"

Sembrava la rivoluzione del secolo: basta catrame, fumo e posaceneri. Tutti in giro con quell'elegante «penna» hi tech, attacco Usb e vapore acqueo. In Italia non si fumava, si «svappava». Per giunta ovunque: ristoranti, cinema, autobus, scuole. La vendetta del fumatore all'ostracismo salutista. I negozi di sigarette elettroniche spuntavano come funghi. Tabaccai e monopoli tremavano di fronte alle stime dell'Anafe, l'associazione nazionale: previsioni di fatturato intorno ai 350 milioni di euro per il 2013. Poi qualcosa è cambiato

A Torino, capitale morale del fumo elettronico, i negozi hanno cominciato a chiudere. Il franchising ha schiacciato gli indipendenti. Gli ex fumatori sono tornati tali. I dati della Camera di Commercio la dicono lunga. La categoria «articoli da regalo e per fumatori» nel 2012 aveva avuto un boom: +71,9%. «Pressoché tutti negozi di sigarette elettroniche» dicono, considerando l'inamovibilità del settore negli anni precedenti. Nel 2013, dati aggiornati al 30 giugno, c'è stato un calo del 2,4%.  

A livello nazionale, anche l'Anafe (che rappresenta l'80% dei rivenditori) conferma: i negozi affiliati alla fine del 2011 erano 500, nel 2012 sono triplicati e la previsione, per il 2013, era di arrivare a 2500. In realtà ad aprile c'è stato uno stop. Anzi, un tracollo. Le quattro grandi catene in franchising denunciavano da gennaio ad aprile 370 nuovi negozi con 200 richieste di nuove aperture. Da maggio a giugno hanno chiuso 123 punti vendita e le richieste sono scese a 2, il 99% in meno. I sostenitori del fumo digitale individuano un colpevole: la campagna delle lobby del tabacco. In parte può essere, ma in parte sono i contraccolpi della regolamentazione di un settore prima completamente senza regole. 
All'inizio sono arrivati i primi studi sanitari: la sigaretta elettronica non aiuta a smettere di fumare, addirittura è nociva. Piantare dei paletti per ridimensionare quell'idea che la e-cig fosse la panacea di tutti i mali ha le sue conseguenze. E il settore le ha subite tutte. 
 
Poi sono arrivati i sequestri per violazione delle regole sulle etichette. Sequestri accolti con applausi dall'Anafe, desiderosa di vedere il settore ripulito dai colleghi-rivali meno seri. Ma l'immagine ne ha risentito, ovvio. Anche il mercato ha fatto la sua parte. In un settore dove nemmeno i commercialisti sapevano dove iscrivere i propri clienti («è commercio di alimentari, articoli per fumatori o prodotti medicali?» chiedeva lumi ai colleghi un disperato professionista in Rete), l'offerta è stata superiore alla domanda. Naturale arrivasse la selezione naturale. I più forti resistono, è la regola. 
 
Infine la tegola più pesante: l'idea dello Stato di assimilare le sigarette elettroniche alle sigarette analogiche. Stesse accise, stesse regole, stessi divieti per i luoghi pubblici e sullo sfondo l'ombra dei Monopoli. Di più: è arrivata la supertassazione al 58,5% dell'Iva. E su tutti i componenti della sigaretta: dal serbatoio al vaporizzatori, passando per i liquidi e i cavi di ricarica. Come se, per vendere una calcolatrice, si tassassero anche le pile. E qui, gli applausi, si sono trasformati in rabbia.  
 
Ieri centinaia di venditori si sono riuniti sotto Montecitorio per protestare contro l'emendamento che intendeva anticipare la tassa al 1° settembre. In commissione Bilancio l'emendamento è stato bocciato, ma i venditori non mollano. «Così si uccide un settore che era in crescita - dice il presidente dell'Anafe Massimiliano Mancini - Se la super tassa restasse chiuderebbe il 75-80% dei negozi, con 3000 persone a casa. Per lo Stato significherebbe anche mancato introito da Iva, Ires, Irap». Il fumo elettronico rischia davvero di svaporare. Per sempre. 

LaStampa.it



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